



One thing I like about writing is its ability to keep the existence of certain moments from the past as fresh and close as if they weren’t separated from our present life by the amount of hours, minutes, and years (as there is still no better measurement for the phenomenon). I recently came across a note written on my 25th birthday, which was also the first one I spent on my own, living an independent life in Milan. I was wandering around the city when I found a small vintage shop tucked into a quiet street. As I am not an expert when it comes to vintage (having never really shopped it, only inherited my mother’s pieces) I entered more out of curiosity than expectation. And, as it often happens in life, the accents arrive without notice.
The beauty I am referring to was a vintage Galliano dress: black lace falling above nude silk, with a bow nestled beneath the collarbone, as charming as a French carousel at dusk, as elegant as a Milanese morning view. Cut above the knee, the form played with lingerie modes, with wide satin straps and an empire waist that gave slight definition. The tulle overlay was embroidered with faint floral motifs, barely visible. The bow, in matching black ribbon, sat precisely where the eye lands first, anchoring the look with a quiet nod to rebellion.
It reminded me immediately of something older than the dress itself; of an aesthetic I had grown up watching, quietly absorbing before I had ways to name it.
As an adolescent memory, while trying it on, I could recall the sensations from many years ago when, inspired by my mother’s nonchalant nobile irreverence, I began developing a sense for styling beyond the obvious or expected. She adored Galliano, not just the pieces, but the entire creative world he created. She collected his early work with near-devotion: silk scarves printed with collaged headlines in green and purple ink, white shirts embroidered with butterfly motifs, lace dresses that looked made for a cinematic femme fatale. His was a style that shouldn’t have worked, newspaper clippings, florals, corsetry, bias cuts, layered in ways that defied logic and still landed in perfect equilibrium. She saw Galliano as an artist of calculated disorder.
In a world obsessed with newness, wearing vintage is a refusal and a discreet rebellion, as a turn toward quality that resists time. I’ve always been fond of the idea that good things, like good wine, only get better with time, as I’ve connected it with a certain timeless attitude that withstands trends and belongs more to style than fashion. Much like what Yves Saint Laurent once said about his suits, the same could be said for those who dress, or create, from an inner sense of refinement and aesthetic intelligence, with an instinct for materials, forms, and when to break from the expected.
Beyond the rebellious gesture of wearing vintage lies something more introspective. I’ve been drawn to narratives that connect the past with the moment I’m in. Pieces that belonged to someone else come with their own timeline, their own lived memories. A silent coffee date, a late-night walk, a conversation with a stranger who changed everything, a trip to the sea, a quiet afternoon in one’s own city: each moment might have happened in that same dress. From the instant I decided that love at first sight could also live in a wardrobe, I knew it was on its way to share new intimacies with me. And lately, possibly, with someone new.
Una cosa che amo della scrittura è la sua capacità di mantenere l’esistenza di certi momenti del passato fresca e vicina, come se non fossero separati dalla nostra vita presente da ore, minuti e anni (non essendoci ancora una misura migliore per definire il fenomeno). Di recente mi sono imbattuta in una nota scritta nel giorno del mio venticinquesimo compleanno, il primo che trascorsi da sola, vivendo una vita indipendente a Milano. Vagavo per la città quando trovai un piccolo negozio vintage nascosto in una via silenziosa. Non essendo un’esperta di vintage (non avendo mai realmente fatto acquisti, ma solo ereditato i pezzi di mia madre), entrai più per curiosità che per aspettativa. E, come spesso accade nella vita, gli accenti arrivano senza preavviso.
La bellezza a cui mi riferisco era un abito vintage di Galliano: pizzo nero che cadeva su seta color nude, con un fiocco adagiato sotto la clavicola, affascinante come una giostra francese al crepuscolo, elegante come una mattina milanese. Tagliato sopra il ginocchio, il modello giocava con i codici della lingerie, con ampie spalline di raso e una vita impero che dava una lieve definizione. Lo strato di tulle era ricamato con motivi floreali appena percettibili. Il fiocco, in nastro nero coordinato, si posava esattamente dove lo sguardo cade per primo, ancorando l’insieme con un silenzioso cenno alla ribellione.
Mi ricordò subito qualcosa di più antico dell’abito stesso; un’estetica che avevo assorbito crescendo, osservando in silenzio prima ancora di avere i mezzi per nominarla.
Come memoria adolescenziale, mentre lo provavo, riaffiorarono le sensazioni di molti anni prima quando, ispirata dall’irriverenza nobile e nonchalante di mia madre, iniziai a sviluppare un senso per lo stile al di là dell’ovvio o dell’atteso. Lei adorava Galliano, non solo i suoi capi, ma l’intero mondo creativo che aveva costruito. Collezionava i suoi primi lavori con quasi devozione: foulard di seta stampati con collage di titoli in inchiostro verde e viola, camicie bianche ricamate con motivi di farfalle, abiti in pizzo che sembravano creati per una femme fatale cinematografica. Il suo era uno stile che non avrebbe dovuto funzionare: ritagli di giornale, fiori, corsetti, tagli sbiechi, stratificazioni in combinazioni che sfidavano la logica e trovavano comunque un equilibrio perfetto. Lei vedeva in Galliano un artista del disordine calcolato.
In un mondo ossessionato dalla novità, indossare il vintage è un rifiuto e una ribellione discreta, un ritorno alla qualità che resiste al tempo. Sono sempre stata affezionata all’idea che le cose buone, come il buon vino, migliorino solo con il tempo, perché l’ho sempre legata a un certo atteggiamento senza tempo, capace di resistere alle tendenze e appartenente più allo stile che alla moda. Proprio come disse Yves Saint Laurent a proposito dei suoi tailleur, lo stesso si può affermare per coloro che si vestono, o creano, a partire da un senso interiore di raffinatezza e intelligenza estetica, con un istinto per i materiali, le forme e i momenti in cui rompere le aspettative.
Oltre al gesto ribelle di indossare vintage si cela qualcosa di più introspettivo. Sono sempre stata attratta dalle narrazioni che collegano il passato al momento presente. I pezzi appartenuti a qualcun altro portano con sé la loro linea temporale, le loro memorie vissute. Un caffè silenzioso, una passeggiata notturna, una conversazione con uno sconosciuto che cambia tutto, un viaggio al mare, un pomeriggio quieto nella propria città: ognuno di questi momenti potrebbe essere accaduto nello stesso abito. Dal momento in cui decisi che l’amore a prima vista poteva vivere anche in un guardaroba, seppi che era destinato a condividere nuove intimità con me. E ultimamente, forse, con qualcuno di nuovo.





