



I love fall. The moment when everything turns golden, and it gets crisp all around, it feels like a new beginning. The atmosphere of passing:the wind in my hair, the leaves falling to the earth—feels like a promise: that whenever something ends, another, more beautiful thing is about to start.
We are all holding back from going ahead. Whatever the object we are talking about, there is always a little hesitation considering the long way to the top (naturally, you do not start a thing if you do not plan to take it up to the stars, right?), the stairway that looks blurry, or the comments from the observers.
Sometimes, when the courtyard falls into that rare silence before dawn, I catch myself listening to the sounds from the distance—the pencil gliding, the espresso cooling beside an unfinished sentence. On the other side of the view, a single window across the street still glows; someone else awake in their own solitude. There is something so sweet and nostalgic in that anonymity, in knowing that no one expects anything of you yet, that you are free to build without being seen; when the words exist only to reveal to oneself what could not be known otherwise. Creation, then, becomes a private rehearsal for life itself, as the place where thought learns how to breathe before the world decides whether to applaud.
Amo l’autunno. Il momento in cui tutto si tinge d’oro e l’aria diventa frizzante mi dà sempre la sensazione di un nuovo inizio. C’è qualcosa di magico in quell’atmosfera di passaggio: il vento tra i capelli, le foglie che cadono a terra—una promessa, che ogni fine porta con sé l’inizio di qualcosa di ancora più bello.
Tutti, in qualche modo, tratteniamo il passo prima di andare avanti. Qualunque sia l’obiettivo, c’è sempre una lieve esitazione di fronte alla lunga strada verso l’alto (perché, naturalmente, non si inizia nulla se non si intende portarlo fino alle stelle, giusto?), la scala che sembra sfocata, o i commenti degli osservatori.
Probabilmente, la cosa più pericolosa che esista nel mondo esterno sono le opinioni altrui e il loro giudizio. Quando si contempla l’idea di liberarsi, ci si accorge che la vera gabbia è fatta dello sguardo degli altri. E se nessuno fosse lì a giudicare, a dedurre? Immagina quante ambizioni sono andate in cenere a causa di parole, dette o taciute, che non le approvavano.
Guardando alla mia vita, ho avuto il privilegio di iniziare tutto ciò che ho creato dedicandolo soltanto a me stessa. In qualche modo, sono riuscita a restare al di fuori degli sguardi fondando Soft Echoes e Letters From the Balcony. Come suggerisce la parola stessa, questi concetti di autoespressione sono nati nella tranquillità del mio cortile milanese: nei primi momenti del risveglio del giorno, o nel buio della notte, quando i miei pensieri non appartenevano a nessuno se non a me. Ho iniziato a scrivere con l’unico scopo di condividere la mia ispirazione, nata dall’arte, dal cinema, dalla musica, dalla letteratura; dal mio amore per la moda e dalla mia costante ricerca della bellezza.
La sensazione di quieta solitudine, creata dalla distanza rispetto al pubblico visibile, mi ha permesso di esplorare la natura della mia scrittura. Non scrivevo per qualcuno, considerando costantemente il riflesso altrui. Eppure, i testi nascevano da dentro, come dovrebbe essere la vera sofisticatezza. Nel lavoro creativo e artistico trovo questo processo fondamentale perché l’arte è una comunicazione personale verso il mondo. Se fosse prodotta al contrario, diventerebbe teatrale e performativa, perdendo l’autenticità dell’autore e, dunque, il suo stesso senso.
A volte, quando il cortile cade in quel raro silenzio prima dell’alba, mi ritrovo ad ascoltare i suoni della distanza—la matita che scivola, l’espresso che si raffredda accanto a una frase rimasta a metà. Dall’altra parte della finestra, una sola luce è ancora accesa; qualcuno veglia nella propria solitudine. C’è qualcosa di dolce e nostalgico in quell’anonimato, nel sapere che nessuno si aspetta ancora nulla da te, che sei libera di costruire senza essere vista; quando le parole esistono solo per rivelare a se stessi ciò che altrimenti resterebbe sconosciuto. La creazione diventa così una prova privata della vita stessa: il luogo dove il pensiero impara a respirare, prima che il mondo decida se applaudire.












